Diversità è partecipazione

s-Pallino.


Lo ammetto: mi piacerebbe incontrare qualcuno  speciale con cui addormentarmi la sera e con cui svegliarmi la mattina, ma non ho mai conosciuto nessuno in grado di riempire lo spazio bianco tra la tazza del cesso e quella del caffè, un lasso di tempo breve che, se trascorri con la persona sbagliata, diventa interminabile.

L’unico con cui sono riuscita a condividere quello spazio è Pallino, il mio gatto bianco al quale, mio malgrado, ho dovuto infliggere quella pratica odiosa chiamata castrazione. Inizialmente, non era mia intenzione privarlo dei suoi pelosi gioiellini; mi sembrava una violenza gratuita e inutile. Tuttavia, crescendo, i suoi repentini sbalzi d’umore, accompagnati da spruzzetti puzzolenti, rendevano vano ogni tentativo di preservare la sua virilità. 

La decisione…

Se volevo tenerlo in casa, e prendermi cura di lui, non avevo scelta; dovevo castrarlo. 

Per una frazione di secondo valutai la possibilità di rinunciare alla compagnia del mio amico miao e lasciarlo libero di viversi la propria sessualità in giro per il mondo, ma poi mi venne in mente che, in effetti, nei due anni precedenti, con molta probabilità, non si era mai servito del giocattolino a cui gli uomini tengono tanto. Il dubbio mi era già venuto da un po’ quando constatai che, nonostante girasse indisturbato nel giardino di casa e avesse scambiato effusioni con diverse gattine attraenti, mai, neanche una volta, tra le infinite cucciolate raminghe, era nato un esserino che avesse l’ombra di un ciuffetto bianco sul corpo. Non c’era dubbio: Pallino era omosessuale. 

Era più che altro una supposizione che, in fin dei conti, non mi sconvolse più di tanto, anzi, ridimensionò il mio senso di colpa quando lo privai dei suoi organi genitali. Ad oggi non ho idea se realmente Pallino avesse gusti sessuali diversi da Oronzo, il gatto stronzo, (il gatto della vicina che castigava senza pietà tutte le gattine del quartiere), e del resto lui non ha mai dato segni di voler fare outing; gli avrei voluto bene senza riserve, ma ho il sospetto che, comunque, quella cosa dei testicoli se la fosse legata al dito (non potendola legare altrove). 

Subito dopo l’operazione, apparentemente indolore, il mio gatto non sembrava più lo stesso: da aggressivo e insofferente, era diventato docile e affabile. Smise di attentare a qualunque oggetto potesse essere ridotto a brandelli, come un divano o la borsa di stoffa dimenticata incoscientemente sul letto, e il suo miagolare isterico si trasformò in un soave miao miao. Riprese a fare le fusa come quando era cucciolo e a raggomitolarsi tra le mie gambe in cerca di coccole e affetto.

Non pensavo che la deprivazione di una parte così piccola del suo corpicino potesse generare tali cambiamenti, tuttavia, anche se ne traevo evidenti benefici, temevo che Pallino avesse pagato un prezzo troppo alto per la mia serenità. L’idea che lo stesso trattamento potesse essere rivolto anche agli uomini, al fine di renderli più malleabili e gestibili, mi balenò solo per un istante, non perché tale soluzione mi sembrasse raccapricciante, ma per il semplice fatto che, senza palle, noi donne, non avremmo più potuto accusarli di essere senza.

Guardata con sospetto…

Dal giorno dell’operazione Pallino diventò s-Pallino o, almeno, è così che lo chiamava mio padre quando veniva a trovarmi. Per settimane, il mio genitore mi guardò con sospetto e, ancora oggi, penso non mi perdoni di aver privato il mio gattino di ciò che fa vero un uomo. Anche volendo, non potevo tornare indietro: se solo avessi saputo quale sarebbe stata la mia punizione per aver inflitto a s-Pallino quella pratica atroce, probabilmente, non gliela avrei imposta. Il karma non perdona; anni dopo conobbi, uno dopo l’altro, una serie infinita di uomini senza palle, di tutti tipi e le misure, uno più inutile dell’altro.

Cionondimeno, non voglio compiere l’errore di cadere nel solito cliché che vede tutti gli uomini stronzi (e le donne puttane): semplicemente, (è inutile girarci attorno), gli uomini e le donne sono diversi, come la metà di due mele diverse, che non combaceranno mai alla perfezione, ma non è detto che non possano stare insieme. 

È in questa dissonanza che si fonda l’incomprensione che ci allontana ingiustamente, ma di una cosa sono certa; se non ho incontrato l’altra metà della mela, è solo colpa mia, delle mie idiosincrasie, della mia insofferenza, del mio sentirmi costantemente minacciata dalla noia della quotidianità, del non sentirmi mai, o quasi, al posto giusto, o di sentirmici troppo e aver paura di dover andare via sul più bello. Probabilmente, la metà della mia mela sarà marcia o (giustamente) se l’è data a gambe.

Voler cambiare l’altro, (provando a tutti i costi di far coincidere queste maledette metà di una mela) o, peggio ancora, cercare disperatamente di modellarlo a nostro piacimento, sono stupidi espedienti che, prima o poi, si ritorceranno contro di noi. Se non siamo disposti ad accettare compromessi, rivedere i nostri punti di vista e mostrarci aperti al cambiamento, cerchiamo almeno di essere onesti e di non riversare le colpe dei nostri fallimenti sentimentali sugli altri, oppure restiamo da soli e diventiamo, a tutti gli effetti, “single di fatto”.

Guarda pure: quello che un gatto randagio mi ha insegnato sulla resilienza

 

Mi chiamo Simona Zarcone, ho 44 anni (portati benino), abito a Palermo, sono un’insegnante di sostegno (per scelta), istruttrice di fitness, appassionata di lettura, di scrittura, del buon vino e sono single, da sempre, o almeno da quando ho dismesso le armi da seduttrice incallita

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