Diversità è partecipazione

Manuale di pronto intervento dopo un abbandono

Primo stadio: la disperazione.

Inutile dire che i minuti successivi al distacco forzato, la prima cosa che facciamo è abbandonarci allo sconforto. C’è chi piange, chi si strappa i capelli, chi rimane a guardare il soffitto per giorni interi, chi cerca di suicidarsi con l’aspirina. Ognuno ha il proprio modo di vivere il dolore, ed è una cosa sacrosanta. I primi tempi bisogna lasciarlo fare, permettergli di trascinarci giù, fino a toccare il fondo. Prima lo raggiungiamo e meglio è, poiché dopo non si può fare altro che risalire. In questa fase sono concesse: 
1) sbornie a oltranza con qualunque cosa vi capiti tra le mani, anche l’alcool denaturato va bene; 
2) Giornate a giocare a vegeto davanti la tv, mentre l’amico del cuore vi passa il trentesimo kleenex molto assorbente. Se vi trovate sprovvisti di compagnia, in alternativa o come rinforzo, è consigliato il divorare isterico di schifezze alimentari ad alto contenuto calorico, tassativamente non riconosciute dall’ OMS. 
3) L’autocommiserazione. I primi tempi fa bene. “Quanto sono sfortunato, non mi vuole nessuno, la mia vita fa schifo, morirò solo” e via dicendo.

Secondo stadio: la rabbia. 

Passata la disperazione, è il momento della rabbia, incontrollata. Schizza da tutti i pori, come zampilli di sangue rosso vivo che fuoriescono da ferite profonde autoindotte. Il vano tentativo di suicidio si trasforma in desiderio schizofrenico di omicidio, che si progetta nei modi più originali: dal travolgimento del soggetto in questione con un caterpillar noleggiato a ore, al reclutamento di un killer professionista in grado di assolvere il lavoro senza lasciare tracce. La rabbia ha diverse modalità di espressione e, come il dolore, bisogna lasciarla fare, non reprimerla insomma, a patto che non vi facciate travolgere. Rabbia perché vi ha lasciato per un’altra o un altro, perché non vi ama più, perché non ha avuto il coraggio di dirvelo e vi ha inviato un messaggino whatsapp. Qualunque sia il motivo della vostra collera, vivetela e passate al terzo step. 

Terza stadio: la malinconia.

Cupa, nera, profonda. È lo stadio più delicato del processo poiché è quello in cui cominciano a riaffiorare prepotentemente i ricordi. Ve ne state tutto il giorno a ripensare ai vostri risvegli, alle passeggiate in riva al mare, alle promesse mancate, ai primi baci, alle vacanze fatte insieme. Tutto ciò che vi circonda fa riemergere ricordi: la tazza del latte poggiata sul tavolo, l’odore del profumo che vi ha regalato, il supermercato all’angolo dove andavate a fare la spesa. Questi momenti, scorrono nella vostra mente come le scene di un film visto mille volte e cacciarli via è un’impresa non da poco. In questa fase, non ribellatevi. Come la disperazione e la rabbia, lasciate vivere la malinconia. E poi, andate avanti.

Quarto stadio: l’accettazione.

I primi tre stadi sono propedeutici; senza averli vissuti non è possibile attraccare a questo, l’accettazione, che vi prenderà per stanchezza. Dopo aver pianto, gridato e guardato per ore il soffitto, una mattina vi alzate e non avete più voglia di stare male. O meglio, soffrite ancora, ma di commiserarvi non ce la fate più. Non vi vuole più, dovete farvene una ragione e non c’è pozione magica al mondo che lo farà tornare indietro. Abbiate cura di voi stessi e iniziate a proteggere la vostra dignità. 

Sesto stadio: libero, come la dieta.

Questa è la fase della ricaduta. Per quanto vi siate sforzati di seguire alla lettera il manuale, arriverà un momento in cui il baratro vi risucchierà nuovamente. Basta un niente per destabilizzarvi e, nella maggior parte dei casi, la causa della regressione affettiva è un ricordo riaffiorato o un coglione che vi chiede “Perché vi siete lasciati?”. Anche stavolta, non ribellatevi; disperatevi, arrabbiatevi, struggetevi. Insomma, auto commiseratevi un altro po’, a patto che poi siate pronti per andare avanti.

Quinto stadio: la destrutturazione.

Siamo arrivati al momento più importante e più difficile da affrontare. Destrutturare vuol dire ridurre a brandelli i ricordi, i maggiori responsabili della vostra sofferenza. E’un processo doloroso in cui, al contrario degli altri stadi, bisogna allontanare i sentimenti negativi. Averli vissuti appieno e avergli permesso di farci sprofondare nella disperazione più cupa, ci ha consentito di essere più lucidi. Adesso bisogna disgregare la sofferenza, anche se fa male. Il piano d’azione prevede un allontanamento volontario dei ricordi e delle eventuali speranze di un ritorno che, nella maggior parte dei casi, non ci sarà. Se fino a questo momento sognare di ritrovarlo dietro la porta con tanto di scuse e promesse nuziali vi ha confortato, ora tale vaneggiamento è altamente lesivo. Cacciate via i ricordi e fate qualcos’ altro: leggete un libro, ascoltate musica, cucinate. La parte della giornata in cui bisogna stare più attenti è la sera, quando si spegne la città e rimanete soli con i vostri pensieri, che viaggiano incontrollati senza trovare ostacoli. Destruttura, non ci pensare. La tazza del latte? Non buttarla, impara a convivere con lei e a darle una nuova destinazione. Non è facile, questo è ovvio, ma una volta iniziato vi renderete conto di quanto sia produttivo provare a rompere, lasciare andare, metabolizzare, fin quando i brandelli di ricordi e illusioni diventano tessere di un puzzle che non combaciano tra loro. Destrutturate, e poi ricomponete i pezzi dando loro una nuova forma. Andiamo avanti e continuiamo a volerci bene e a proteggere, ancora una volta, la nostra dignità. 

Settimo stadio: tentativo d’oblio. 

Dimenticare consapevolmente è innaturale, non è possibile, si sa. Ma accantonare si. Una volta ridotto in frammenti e ricomposto ciò che è rimasto della vostra storia, non resta che ricominciare a vivere. Non avete, non abbiamo scelta, continuare a rimuginare ci farà perdere tramonti inaspettati, viaggi, libri, fogli di giornale…va beh, quella è una canzone ma se continuate a struggervi vi perderete anche quelle. L’importante è non utilizzare l’ennesimo fallimento come scusa per i vostri comportamenti successivi. Il fatto che abbiate sofferto non vi rende speciali, e nessuno sarà più clemente con voi per questo, soprattutto perché ognuno ha il proprio vissuto che, probabilmente, sarà simile al vostro. Trattate bene il prossimo, o la prossima, di cui vi innamorerete (perché succederà, anche se adesso non ci credete) poiché l’essere stati abbandonati non vi autorizza a diventare stronzi. Anche questo vuol dire volersi bene e proteggere la propria dignità.

Concluse queste fasi spetta a voi decidere se continuare a permettere ad un estraneo (perché cavolo, quello è) di controllare emotivamente la vostra vita oppure tumulare questo fallimento nel limbo dei ricordi, accrescendo il vostro bagaglio sentimentale. Ognuno ha i suoi tempi e le sue modalità, tuttavia sono convinta che nessuno meriti una sofferenza infinita. Per il resto non lo so, la vita scorre e quello che ci riserva…chissà. Forse lo scopriremo solo ridendo.

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Mi chiamo Simona Zarcone, ho 44 anni (portati benino), abito a Palermo, sono un’insegnante di sostegno (per scelta), istruttrice di fitness, appassionata di lettura, di scrittura, del buon vino e sono single, da sempre, o almeno da quando ho dismesso le armi da seduttrice incallita

Un commento

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