dialoghi surreali

Essere bipolari

Non capisco cosa abbia di speciale, cosa mi attiri, cosa mi colpisce in lui. Forse è più facile capire cosa non mi piace. Non è fascista, non è razzista, non è misogino tantomeno narcisista, non è pedante, e non è, cosa più importante di tutti, mediocre o intollerante. 
– E tutte queste cose le hai capite da uno sguardo? – chiedo a me stessa, imponendomi di essere sincera almeno una volta. 
– Si… e poi – confesso. – E poi cosa? Hai dato una sbirciatina al suo profilo fb, vero? Altro che sguardo! – Mi interrompe di nuovo lei, la stronza, che è sparita da un giorno all’altro e adesso, che pensavo di aver ritrovato il mio equilibrio, ricompare d’improvviso. Che vuole da me? È sua la colpa se non ho una relazione da anni, perché a un certo punto ha deciso, senza neanche chiedermi il permesso o almeno un consiglio, di chiudere bottega e appendere un cartello sul portone con su scritto “lavori in corso”. Bugiarda, non c’è nessun lavoro in corso, sei ferma nelle tue convinzioni da una vita e vuoi far credere di essere felice. E poi c’è anche la storia del muro. – Quale muro? Zitta, devi stare zitta – Cavolo, ma mi legge nel pensiero, sta stronza? Non ho detto una parola eppure ha capito, del resto di cosa mi stupisco, io e lei siamo la stessa persona. – Ma magari fosse un muro – continua, estorcendomi una forma di silenzio che mai avrei pensato di esibire. – Fosse un muro non vedresti niente di quello che succede in giro per il mondo, mentre invece, dallo spioncino della nostra bottega vediamo, sentiamo, annusiamo le storie di altri, ma mai le nostre. Storie che si, finiscono quasi tutte male, ma almeno hanno forma, una trama, un inizio e una fine. Io voglio ricominciare a…
– Crederci? Non te lo permetterò mai.
– Ma com’è successo? – 
– Cosa? –
– Questa cosa della bottega e del cartello. 
– Perché, non te lo ricordi? Non c’è stato un evento scatenante, è stato più che altro un susseguirsi di piccole, minuscole, infinitesime delusioni che, sommate le une alle altre, ci hanno condotte all’unica possibile conclusione: meglio sole…dai, finisci la frase. 
– Che luna? 
– Ma che c’entra, mi farai uscire pazza. 
– Sii onesta con noi stesse: tu non lo sai neanche quello che vuoi.
– Ma almeno so ciò che non voglio. 
– Non basta. 
– Comunque se proprio devi perdere la testa perdila per quel tipo lì e chiedigli l’amicizia.
– Mai al mondo. E non domandarmi perché, lo sai già. Lui potrebbe essere fidanzato, misogino, bisessuale, non interessato, un estremista islamico; e poi, perché gliela dobbiamo chiedere noi? Donne di altri tempi siamo, il primo passo lui lo deve fare. 
– Seeeeeee, e quando? Ormai gli uomini vanno presi per mano, prima che loro ci prendano per il culto. 
– Forse volevi dire culo?
– Si, ma il correttore automatico ha scritto culto e mi è sembrato più carino.
– Già. E se lui ha gli stessi dubbi tuoi? Se nessuno si fa avanti per paura di un rifiuto?
– Guarda, preferisco rischiare; l’ultima volta, una tipa che si scopava un tipo con cui chattavo ogni tanto, mi ha fatto trovare un topo morto davanti casa. 
– Si, me lo ricordo. Comunque, mi sento stremata. Solo a parlare di relazioni mi viene l’ansia, figurati a viverle. Penso continuerò a lamentarmi del fatto che non ci sono più gli uomini di una volta. 
– E io a sostenere la causa dei single felici e realizzati. 
– Perfetto, allora facciamo così: io faccio quella che “ancora ci crede”, ma è sfortunata, e tu la disillusa finta cazzuta, quella che “mai più un maschio, neanche in cartolina”. 
– Ma non possiamo essere noi stesse e dire la verità?
– E quale sarebbe la verità?
– Che, bene o male, siamo felici, abbiamo una vita soddisfacente, che non accusiamo gli altri per i nostri fallimenti, che traiamo il meglio dalle situazioni o almeno ci proviamo, e che certo, vorremmo di più, ma in fondo stiamo bene, e non perché ci accontentiamo, ma perché siamo felici, anche se questo non vuol dire necessariamente che siamo serene. Sembra strano, ma non sempre i due aggettivi vanno di pari passo. 
– Già.
– Dici troppi già. 
– Già. Ma se diciamo tutte queste cose non ci crede nessuno, ci prendono per esaltate. La gente, se non riesce ad essere felice di suo, è felice nel sapere gli altri infelici. Non tutta la gente, s’intende, solo quella stupida e mediocre. 
– Come NON è quel tipo lì, vero?
– Non ricominciare! Argomento chiuso! Comunque…beh, se dovesse…ne potremmo parlare, ma queste cose a noi non succedono, lo sai. 
– Ora non fare la vittima.
– Non la faccio, ma lo sai che se siamo così è proprio per questo. 
– Così come? Meravigliose? 
– No, bipolari, ma è bellissimo, o forse no.

Mi chiamo Simona Zarcone, ho 44 anni (portati benino), abito a Palermo, sono un’insegnante di sostegno (per scelta), istruttrice di fitness, appassionata di lettura, di scrittura, del buon vino e sono single, da sempre, o almeno da quando ho dismesso le armi da seduttrice incallita

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