Diversità è partecipazione

Donne senza ascensore

Le 65 frasi più belle sulle donne

Come un pugno di sabbia dentro a una rete

Foto di Daniela Pennino

Sono stanca di leggere libri e guardare film, documentari, mostre che parlano solo di donne, della forza delle donne, dell’energia e dell’attitudine alla resilienza delle donne. È vero, siamo forti e indistruttibili, siamo nate con il gene del martirio e siamo capaci di grandi imprese, ma sono stufa di sentirne parlare come se avessimo sempre qualcosa da dimostrare. Sono stanca di dover sempre difendere la mia posizione, come se non mi spettasse e dovessi guadagnarmela ogni giorno. “Siamo donne, oltre le gambe c’è di più”, ma mi umilia doverlo sottolineare continuamente, mi mortifica soprattutto essere arrivata al punto di nasconderle (le gambe) affinché le persone intorno a me si accorgano che ho anche altro. Ho vissuto nell’epoca in cui si credeva che una donna esteticamente piacevole, non potesse contare su altre qualità, per cui, sono sempre stata etichettata come la biondina carina con intelligenza e cultura inferiore alla media. Non che il mio QI fosse superiore alla norma, ma finché la mia gonna è rimasta sopra al ginocchio, nessuno sembrava disposto a concedermi almeno il beneficio del dubbio. A peggiorare la situazione ero (sono) pure bionda. Quindi, ricapitolando: bionda, magra, tonica, con la minigonna, seppur non particolarmente bella…uguale oca, o giù di lì. Quando un giorno confessai di aver letto Anna Karenina, (comprese le recensioni) mi risposero che dovevo essermi confusa, che forse volevo dire che avevo visto il film, che non era possibile, perché era considerato un testo troppo lungo e difficile da poter essere compreso da chiunque, e non sia mai quel chiunque fossi io!

Per un periodo mi fidai del loro giudizio, e accettai, mio malgrado, la mia condizione da minorata. Del resto, sebbene non fossi bellissima, ero molto corteggiata, insomma, i maschi non mi mancavano. Che me ne facevo dell’intelligenza, a che cosa mi serviva? Fino a quando non mi bastò più; io volevo di più, tuttavia riuscire a scrollarmi di dosso l’etichetta di ochetta, non era cosa per niente facile, ma soprattutto significava fare un torto alle ragazze esteticamente sciatte e insignificanti che, al contrario di me, erano considerate intelligenti e colte. Se fossi riuscita a dimostrare che, “oltre le gambe c’è di più”, alle altre, le bruttine, cosa sarebbe rimasto? Non me la sentivo, davvero, non per ipocrisia, ma da ex bulimica mi mettevo nei loro panni, e non volevo che altre provassero lo stesso senso di inadeguatezza che avevo sperimentato io per anni. Ma queste cose, gli altri, quelli che mi hanno sempre creduto biondina e cretina, non le sapevano, e io non mi sono prodigata più di tanto per farglielo scoprire, non mi interessava. Cionondimeno, a un certo punto, le persone cominciarono a cambiare opinione su di me, o meglio, ne ho conosciute altre che l’opinione se la sono fatta ex novo, (è più facile creare un’idea che farla cambiare), e per loro, adesso io sono una persona non particolarmente intelligente ma per niente stupida, e non si meravigliano se leggo un libro. Purtroppo, non saprò mai se questo cambio di rotta di opinione nei miei confronti ha a che fare con il mio modo di abbigliarmi, poiché ha coinciso con il periodo in cui ho messo da parte la minigonna in favore di gonne e pantaloni lunghi, che ho iniziato ad indossare non per paura del giudizio altrui, ma per una questione legata al pudore dell’età che avanza. Insomma, per le persone è stato più facile prendermi sul serio, soprattutto da quando sono comparse sul mio volto le prime rughe, che hanno assunto una valenza consolatoria per quella parte di interlocutori che si trovano a disagio a parlare con una donna attraente e per niente stupida. Tuttavia, nonostante l’età e le gonne lunghe, continuo (non so ancora per quanto tempo, ma finché dura è fortuna) a non essere brutta, oltre che mediamente intelligente, ma finché entrambe le qualità restano nei limiti della sufficienza, sono salva, nessuno mi additerà come puttana. Che c’entra, direte voi? Perché quando una donna è troppo (troppo bella, troppo intelligente, troppo colta, troppo buona, troppo simpatica) non potendo denigrarla in altri modi, le si dà della troia e, mi addolora ammetterlo, il più delle volte sono le donne stesse a muovere tali offese. Del resto, i maschilisti più maschilisti in assoluto, sono le donne, e spesso per stupida invidia.

Sono tutti alibi per non ammettere di avere un bruttissimo carattere? È possibile, ma preferisco restare con il beneficio del dubbio, e definirmi una “donna senza ascensore”.

Le donne, per me, sono come le case. Alcune sono piccoli appartamenti di periferia, tranquilli e accoglienti, ma senza finestre né balconi per guardare fuori; altre sono attici mozzafiato con vista sul mare, lussuose e rifinite in tutti i minimi particolari. Altre ancora sono ville residenziali, totalmente ristrutturate, con tanto di giardino e cuccia per il cane. E poi ci sono le case senza ascensore; belle, grandi, confortanti, accessoriate, incantevoli, luminose, accattivanti. A queste non manca proprio niente, anzi, possiedono qualcosa in più che le rende uniche e speciali. Ma sono senza ascensore e, più in alto si trovano, minori sono le possibilità di trovare qualcuno disposto a salire una, due, tre rampe di scale.

Le donne senza ascensore le riconosci subito: hanno molte frecce al loro arco, ma non le scagliano mai, semmai le spezzano in favore di qualcuno; hanno il coraggio e l’umiltà di utilizzare i mezzi pubblici una città come Palermo e amano, incondizionatamente, solo chi merita e ricambia. Donne che non si vergognano delle proprie fragilità, Donne che vivono sull’orlo di un equilibrio volutamente precario, Donne, che non hanno bisogno di una metà per raggiungere la loro meta. Le donne senza ascensore sono donne forti e, al mondo, ce ne sono poche. Le altre sono deboli o millantano una forza interiore che invece non possiedono, attraverso l’innalzamento di muri costruiti con mattoni pesantissimi, quasi fosse un dovere o un obbligo, e se ne servono per dimostrare la loro, inutile, inattaccabilità. Ma, in realtà, tra un mattone e un altro, non esiste nessun collante che li tiene uniti e basta un niente per buttarli giù.

 Una di queste è la mia grande amica “reggi spalla”, mia sorella, l’amica che tutti vorrebbero avere, quella a cui lasceresti il cane per tutto il week end, colei che, in piena notte, accorre in tuo soccorso senza chiedersi che ore sono e non dimentica di portare con sé trolley pieni di abbracci sterminati e fazzoletti “asciuga lacrime” molto assorbenti. Quando sono nata lei era già al mondo da poco più di due anni. Qualcuno dice che per giorni non ha mangiato né parlato e addirittura, qualche tempo dopo, ha provato ad uccidermi mentre ero nella culla. Crescendo, i suoi tentativi di annientarmi si sono gradualmente attenuati, fino a diradarsi completamente. Poi è successo l’inaspettato: ha imparato ad amare una come me, la scheggia impazzita che nessuno è mai riuscito a domare e, ancora oggi, non riesce a smettere, nonostante tutto, ed è sempre qui, a darmi gli abbracci mancati, a proferire le parole taciute dagli altri, a riempire i vuoti…senza di lei io sarei un pugno di sabbia dentro una rete, dispersa e inconsistente. L’altra donna senza ascensore, è mia madre quella che, tra tutti le donne forti che ho incontrato nella mia vita, è quella che mi somiglia di più.

Mia madre, il mio esempio di vita, la responsabile dei miei fallimenti sentimentali. Non in maniera diretta, s’intende, ma a causa sua, o grazie a lei, ho dato sempre priorità ad altro, pensando che per l’amore ci fosse tempo. L’indipendenza, non solo economica ma soprattutto mentale, rappresentava l’argomento principale con cui cercava di convincervi che l’idea della coppia non conciliava con la realizzazione personale. – Prima di sposarti costruisci il tuo futuro – Mi ripeteva – Il matrimonio non è una tappa obbligata, si può vivere benissimo senza – Aggiungeva, mentre impastava la pasta per la pizza con il grembiule sporco di farina e l’espressione guardinga. Nei suoi occhi leggevo l’insofferenza tipica di una persona che si ritrova a vivere una vita che non ha scelto ma che, tuttavia, giorno dopo giorno impara ad amare. Le sue parole cozzavano con le intenzioni: nei suoi piccoli e amorevoli gesti quotidiani, non c’era traccia di quell’ombra che le trasfigurava il volto, ed io restavo ore ad osservarla di nascosto mentre, occupata a svolgere i mestieri, intonava il motivetto di “E vola vola si va” con la leggerezza e la spensieratezza di una donna che sembra felice. Ero confusa, non capivo da quale parte sedesse la verità: se da un lato mia madre si ostinava a mettermi in guardia dalla vita coniugale, dall’altro dimostrava di essere una moglie e una madre appagata. Probabilmente il segreto di un matrimonio duraturo si basa proprio su quest’equilibrio precario, che vede contrapposti due modi di vivere la vita coniugale diametralmente opposti, tuttavia ancora oggi non so da quale parte penda la bilancia dei bilanci di mia madre. Nonostante il peso della gestione familiare, non ha mai rinunciato a se stessa e alla cura del suo corpo: da casalinga disperata con i bigodini in testa, è capace ancora oggi di trasformarsi in femme fatale in men che non si dica. Me la ricordo ancora, come fosse ieri quando, dall’angolo della stanza in cui si preparava per uscire con le amiche, mi rivolgeva uno sguardo obliquo dalle lenti poggiate sul naso e mi chiedeva, con tono perentorio come solo una madre sa fare: “La camera l’hai sistemata?”. “No, mamma lo faccio domani”. E domani era sempre l’indomani.

Se avessi avuto un figlio, o una figlia (ho sempre pensato che, se avessi messo qualcuno al mondo, sarebbe stato di sesso femminile) oggi mi ritroverei dalla stessa parte di mia madre, a riprodurre i suoi gesti e le sue parole. Tuttavia, la gravidanza non è un’esperienza che non ho mai fatto e che, sinceramente, non mi manca, almeno fino ad ora. Non ho mai avuto il senso della maternità a prescindere, ho sempre pensato chi un figlio si debba concepire con qualcuno che si ama o che, per lo meno, si crede di amare. Cerco di non cadere nel tranello del giudizio superficiale, e di additare le donne che, al contrario di me, progettano di figliare con il “meno peggio”, con l’esemplare maschio che meno le disgusta pur di diventare madre, perché ognuno ha il proprio vissuto e le proprie priorità. Tuttavia, è una scelta che non ho mai preso in considerazione, perché la vita già è difficile di suo, trascorrerla con qualcuno che a malapena ti sta simpatico è accanimento terapeutico.

Se anche tu hai milioni di scale…almeno arredale e:

Mi chiamo Simona Zarcone, ho 44 anni (portati benino), abito a Palermo, sono un’insegnante di sostegno (per scelta), istruttrice di fitness, appassionata di lettura, di scrittura, del buon vino e sono single, da sempre, o almeno da quando ho dismesso le armi da seduttrice incallita

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